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Usucapione tra fratelli, quando il compossesso si trasforma in possesso esclusivo

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.3493 del 07/02/2024

In caso di immobile in comproprietà tra fratelli, quali sono i criteri per la trasformazione del compossesso in possesso esclusivo ai fini dell'usucapione?

Si occupa della questione la Sezione Seconda della Cassazione con l'ordinanza n. 3493 del 7 febbraio 2024.

Il caso di specie nasce da una richiesta di scioglimento della comproprietà tra fratelli su un immobile e dal riconoscimento dell'usucapione avanzato da alcuni eredi. Le sentenze di primo e secondo grado avevano dato ragione ai comproprietari che rivendicavano l'usucapione, basandosi su elementi come l'uso esclusivo dell'immobile e il possesso delle chiavi. Tuttavia, il ricorso alla Cassazione ha messo in evidenza la complessità delle dinamiche familiari e la necessità di valutare attentamente la volontà di possedere l'immobile in maniera esclusiva.

La Cassazione ha chiarito che, per l'usucapione di un bene in comproprietà, non è sufficiente dimostrare il solo godimento esclusivo dell'immobile. È fondamentale che vi sia una manifestazione inequivoca della volontà di possedere il bene "uti dominus", distinta e riconoscibile rispetto alla semplice gestione "uti condominus". Questa volontà deve essere comunicata agli altri comproprietari in modo chiaro, affinché sia possibile superare la normale tolleranza derivante dai rapporti di parentela.

Il punto centrale della decisione riguarda quindi la comunicazione della volontà di trasformare il compossesso in possesso esclusivo, che deve emergere con chiarezza e che non può essere dedotta solo dalla durata dell'occupazione esclusiva o dal comportamento passivo degli altri comproprietari. In particolare, la Cassazione evidenzia che, in presenza di rapporti di parentela stretta, la durata dell'utilizzo esclusivo del bene non è di per sé sufficiente a confermare l'usucapione, in assenza di atti che manifestino in modo inequivocabile l'intenzione di possedere il bene in esclusiva.

In conclusione, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e sottolinea che, nei casi di comproprietà tra fratelli, per affermare l'usucapione è necessario andare oltre la semplice tolleranza familiare, richiedendo una chiara dimostrazione della volontà di possedere l'immobile in modo esclusivo.

Possesso ad usucapionem, trasformazione del compossesso in possesso esclusivo, rapporti di parentela, inequivoca volontà di possedere uti dominus

La valenza probatoria della durata della relazione di fatto col bene, pur potendo costituire elemento presuntivo della sussistenza del possesso, si affievolisce allorché si sia in presenza di rapporti di parentela, a maggior ragione se stretti, che la trasformazione del compossesso in possesso esclusivo, pur non richiedendo l'interversione nel possesso, postula comunque la sussistenza di una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, da estrinsecare attraverso la comunicazione, anche con modalità informali, agli altri comproprietari della volontà di intendere possedere in via esclusiva, e che, a tal fine, non ha alcuna rilevanza l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune.

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Cassazione civile, sez. II, ordinanza 07/02/2024 (ud. 24/01/2024) n. 3493

RILEVATO CHE:

1. Con atto di citazione della 6 Febbraio 2009, Ro.Fl. e Ro.Ub. convennero in giudizio davanti al Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Pontassieve, Gu.Pi., in Ro., Ro.Ma., Ro.Al. e Ro.Ta., onde ottenere lo scioglimento della comunione sull'unità immobiliare ad uso civile abitazione, sita in S, vicolo del Li. 1, assegnando le quote di comproprietà dei convenuti a favore degli attori in parti uguali di 8/48 ciascuno e, in subordine, disponendo la vendita giudiziale del bene e assegnando la somma in base alle quote di comproprietà, con condanna delle occupanti a rilasciare l'immobile e a corrispondere un'indennità per l'utilizzazione esclusiva dello stesso.

Costituitisi in giudizio, i convenuti chiesero, in via riconvenzionale, l'accertamento dell'avvenuto acquisto per usucapione in capo a Gu.Pi., nonché, in via riconvenzionale, la condanna degli attori al pagamento delle somme anticipate dalla predetta per migliorie e spese di ordinaria e straordinaria amministrazione fin dal 1948.

Nelle more del giudizio, decedette l'attrice Ro.Fl., cui seguì la riassunzione, da parte di Ro.Ub., e la costituzione di Ca.Va. e Ca.Da., quali suoi eredi, e successivamente Gu.Pi., cui seguì la riassunzione, da parte di Ca.Va. e Ca.Da., e la costituzione di Ro.Ma., Ro.Al. e Ro.Ta., già parti in causa, anche quali eredi di Gu.Pi., mentre, deceduto in corso di giudizio anche Ro.Ub., si costituì l'erede Ro.El..

Il Tribunale adito dichiarò l'intervenuto acquisto per usucapione, da parte di Ro.Al., Ro.Ma. e Ro.Ta., quali eredi di Gu.Pi., della quota di 32/48 della piena proprietà dell'unità immobiliare oggetto di causa, con sentenza n. 326/12, depositata il 18 dicembre 2012, che, impugnata da Ro.El. e con la costituzione di Ro.Ma., Ro.Al. e Ro.Ta., in proprio e quali eredi di Gu.Pi., fu confermata dalla Corte d'Appello di Firenze con sentenza n. 1809/2020, pubblicata il 25/9/2020.

2. Contro la predetta pronuncia Ro.El. propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, illustrati anche con memoria, mentre Ro.Ma., Ro.Al., Ro.Ta., Ca.Va. e Ca.Da. sono rimasti intimati.

CONSIDERATO CHE:

1. Con il primo motivo di ricorso, riguardante la pronuncia di rigetto del motivo di appello concernente il vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., e dell'art. 118disp. att. c.p.c., nonché dell'art. 111, sesto comma, Cost., con riferimento all'art. 360, n. 4, cod. proc. civ., e l'omesso esame di un fatto decisivo, con riferimento all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., e, in via meramente tuzioristica, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, cod. proc. civ., 1362 e 1363 cod. civ., con riferimento all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di motivare sulla censura con la quale era stato evidenziato come il giudice di primo grado, al fine di pronunciare l'usucapione del bene, avesse unito il possesso del coniuge a quello dell'attrice in riconvenzione Gu.Pi., benché quest'ultima avesse fondato la pretesa esclusivamente sul suo possesso esclusivo, e avesse così statuito sulla base di una causa petendi diversa da quella posta a fondamento della domanda di usucapione, limitandosi ad affermare che la convenuta Guidotti avesse dedotto di essere succeduta nel possesso dell'immobile già esercitato dal comproprietario marito, ma non anche a precisare in quali atti ciò fosse avvenuto.

I giudici d'appello avevano, inoltre, omesso di considerare che la proposizione della domanda di usucapione, da parte della Gu.Pi., anche nei confronti dei figli era incompatibile con la successione esclusiva della stessa nel possesso del coniuge, da essi, invece, ritenuta, posto che i primi erano succeduti, al pari suo, nella quota paterna, e, nell'affermare che l'attrice aveva dedotto di essere succeduta nel possesso del coniuge, avevano altresì male interpretato gli scritti difensivi della predetta, in nessuno dei quali era stata evidenziata una siffatta circostanza.

2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 1158,1144 e 2697, cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d'Appello errato nel ritenere provata l'usucapione dell'immobile da parte di Ro.Ot., evidenziando, per un verso, la disponibilità esclusiva, in capo a lui, delle relative chiavi di accesso e, per altro verso, l'astensione degli altri comproprietari, per molto tempo, dall'uso del bene o dal mostrare contrarietà all'altrui utilizzo, non avendo considerato che la durata del godimento viene neutralizzata dal rapporto di parentela esistente tra le parti, idoneo a suffragare una maggiore tolleranza, e che gli altri comproprietari avevano sempre pagato le imposte relative al bene, sicché il loro congiunto non aveva di fatto mai iniziato a possedere uti dominus l'immobile.

3. Col terzo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 1158,1102, secondo comma, 1144 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d'Appello ritenuto che Ro.Ot., quale comproprietario dell'immobile, non fosse tenuto, ai fini dell'usucapione, a compiere un atto di interversione del possesso o, comunque, un atto diretto contro gli altri comproprietari e tale da rendere riconoscibile, in modo univoco, la sua intenzione di possedere uti dominus e non più uti condominus, ma fosse a questi fini sufficiente il possesso esclusivo del bene, manifestato abitandovi e detenendone in esclusiva le chiavi di accesso, nell'inerzia prolungata degli altri comproprietari, ancorché in rapporti con lui di stretta parentela idonei ad affermarne la tolleranza.

4. Col quarto motivo, si lamenta l'omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di esaminare la consistenza fattuale delle trattative intercorse tra le parti prima della proposizione della domanda giudiziale di divisione, nell'ambito delle quali gli eredi di Ro.Ot. avevano manifestato la disponibilità ad acquistare le quote di Ro.Ub. e Ro.Fl., benché valevole in termini di rinuncia tacita all'usucapione maturata a favore dei medesimi, limitandosi ad affermare l'irrilevanza della circostanza siccome caratterizzata da comportamenti non univocamente interpretabili.

5. Col quinto motivo, infine, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., e 118 disp. att. cod. proc. civ., nonché dell'art. 111, sesto comma, Cost., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte d'Appello reso una motivazione solo apparente, in quanto ha rigettato il motivo di impugnazione concernente il comportamento processuale tenuto da Gu.Pi., la quale, nel giudizio di primo grado, aveva chiesto, in via riconvenzionale, il rimborso pro quota delle spese sostenute per migliorie e manutenzione dell'immobile, senza subordinare la domanda al mancato accoglimento di quella riconvenzionale di usucapione, fatto questo avente valenza di rinuncia tacita all'usucapione delle quote di comproprietà degli attori. I giudici di merito, infatti, nell'affermare che la domanda, per come formulata, non contrastava con l'animus rem sibi habendi, non ha spiegato in che termini fosse stata formulata e perché non valesse come rinuncia tacita all'usucapione.

6. Il secondo e il terzo motivo, da trattare prioritariamente, in quanto aventi valenza assorbente sulle altre questioni, e congiuntamente in quanto involgenti due questioni (la tolleranza degli altri comproprietari e l'interversione nel possesso) correlate alla configurabilità del possesso esclusivo dell'originario compossessore, sono meritevoli di accoglimento.

Occorre premettere che i giudici di merito hanno fondato la decisione, attribuendo valore decisivo al fatto che i coniugi Ro. - Gu.Pi. avessero adibito per decenni l'appartamento, di cui detenevano in esclusiva le chiavi di accesso, a propria abitazione, all'incompatibilità di tale condotta con la normale tolleranza e con la possibilità di godimento altrui e all'astensione dall'utilizzo o da qualsiasi altra iniziativa, anche di contrasto, degli altri comproprietari, fratelli dello stesso Romei, ed escludendo qualsiasi rilevanza al pagamento delle imposte da parte degli altri comproprietari, all'avvio di trattative per lo scioglimento della comunione e alla proposizione, da parte di Gu.Pi., della domanda di rimborso delle spese sostenute per migliorie, siccome costituenti circostanze inidonee a interrompere il possesso o a rinunciare all'usucapione.

Orbene gli elementi valorizzati nella sentenza in esame divergono sensibilmente dai principi enunciati da questa Corte sul significato da attribuire al godimento esclusivo del bene da parte di uno dei comproprietari, e sulle correlate questioni afferenti alle modalità con cui si estrinseca la tolleranza in siffatti casi - specie quando i compossessori siano tra loro legati da rapporti di parentela stretta, come nella specie -, e alla valenza probatoria dell'astensione degli altri comproprietari dall'utilizzo del bene.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, infatti, lo stato di fatto derivante dal godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a farlo ritenere funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell'altro compossessore, risultando necessario, a fini dell'usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res communis da parte dell'interessato attraverso un'attività durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui. Alla stregua di questo principio, questa Corte ha, ad esempio, escluso l'usucapione con riguardo al compossesso di un terreno agricolo, oggetto di coltivazione esclusiva da parte prima del dante causa e poi degli eredi di un compossessore e di contemporanea non frequentazione dei luoghi da parte dell'altro comproprietario, in assenza di comportamenti apertamente contrastanti e incompatibili con il possesso altrui e volti ad evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus (per tutte, Cass., Sez. 2, 20/9/2007, n. 19478; Cass., Sez. 2, 18/2/1999, n. 1367; Cass., Sez. 2, 27/7/1983, n. 5159).

È in questo contesto che esplica inesorabilmente valenza la previsione di cui all'art. 1144 cod. civ., secondo cui "gli atti compiuti con altrui tolleranza non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso", che, nell'ingenerare e giustificare a priori la permissio, conduce per converso ad escludere, nella valutazione a posteriori, la presenza di una pretesa possessoria sottostante al godimento derivatone (Cass., Sez. 2, 10/5/2018, n. 11315).

In proposito, è radicato orientamento di questa Corte quello secondo cui, nell'indagine diretta a stabilire, alla stregua di ogni circostanza del caso concreto, se un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l'altrui tolleranza e quindi sia inidonea all'acquisto del possesso, la lunga durata dell'attività medesima può integrare un elemento presuntivo, nel senso dell'esclusione di detta situazione di tolleranza, qualora si verta in tema di rapporti non di parentela, ma di mera amicizia o buon vicinato, tenuto conto che nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile il mantenimento di quella tolleranza per un lungo arco di tempo (cfr. Cass., Sez. 2, 10/5/2018, n. 11315; Cass., Sez. 2, 18/6/2001, n.8194; Cass., Sez. 2, 20/2/2008, n. 4327; Cass., Sez. 2, 3/8/1995, n. 8498), mentre il rapporto di parentela e, a fortiori, il rapporto di stretta parentela giustificano notoriamente la configurazione di atteggiamenti di accondiscendenza e, quindi, di tolleranza pur al cospetto di forme di godimento esclusivo di lunga durata (Cass., Sez. 2, 29/5/2015, n. 11277; Cass., Sez. 2, 10/5/2018, n. 11315).

In virtù di tale principio, ad esempio, Cass., Sez. 2, 20/2/2008, n. 4327, ha reputato insufficiente, ai fini della prova del possesso, la disponibilità delle chiavi di accesso al bene da parte dell'attore, fratello della proprietaria, e l'utilizzo da parte sua di uno dei locali di cui era composto il maso quale ricovero di slittini e piante, posto che persino il silenzio e l'inerzia, benché protratti per molti anni, non avrebbero potuto mai di per sé denotare rinuncia, ancorché tacita, al possesso, se non accompagnati da atti o fatti che in modo certo rivelassero la volontà di cessare la relazione di carattere possessorio con i locali contestati da parte della titolare del relativo diritto.

Con riguardo, poi, alle modalità con le quali il compossesso può trasformarsi in possesso esclusivo utile ad usucapire, costituisce orientamento costante di questa Corte quello secondo cui, in tema di comunione, non è ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso né un'interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, giacché l'art. 1102 cod. civ. pone, in caso di compossesso, una deroga alla regola della interversio possessionis, intesa in senso propriamente tecnico, dato che il compossessore, se intende estendere il suo possesso esclusivo sul bene comune, non ha alcuna necessità di fare opposizione al diritto dei condomini, così come, invece, previsto nel caso di vera e propria interversio possessionis, ma può limitarsi a compiere "atti idonei a mutare il titolo del suo possesso" (cfr. Cass. 15.11.1973, n. 3045; Cass., Sez. 2, 12/4/2018, n. 9100, secondo cui non sono, al riguardo, sufficienti atti soltanto di gestione, consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che comportano solo il soddisfacimento di obblighi o l'erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, siccome inidonei a dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore; in questi termini anche Cass., Sez. 2, 11/8/2005, n. 16841). Ai fini della decorrenza del termine per l'usucapione, è, invece, idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento, da parte di uno dei comproprietari, realizzi, per un verso, l'impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e denoti, per altro verso, inequivocamente l'intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, per cui ove possa sussistere un ragionevole dubbio sul significato dell'atto materiale, il termine per l'usucapione non può cominciare a decorrere, ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva (cfr. Cass. 9/4/1990, n. 2944; cfr. specificamente sul terreno della comunione ereditaria, Cass. 20/6/1996, n. 5687, secondo cui il coerede può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi, senza che sia necessaria l'interversione del titolo del possesso, attraverso l'estensione del possesso medesimo in termini di esclusività, ma a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso della cosa, occorrendo altresì che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus; anche Cass., Sez.22, 29/5/2015, n. 11277 cit.), senza che sia sufficiente l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune (in tal senso Cass., Sez. 2, 8/4/2021, n. 9359, che, in un caso del tutto sovrapponibile a quello di specie, ha escluso che costituisca prova dell'usucapione di un appartamento la circostanza che il coerede, che già vi abitava con il padre e che aveva iniziato a possedere animo proprio e a titolo di comproprietà, avesse continuato, dopo la morte di questi, ad essere l'unico ad averne la disponibilità).

I principi sopra espressi possono, dunque, compendiarsi, per quanto qui interessa, nel senso che la valenza probatoria della durata della relazione di fatto col bene, pur potendo costituire elemento presuntivo della sussistenza del possesso, si affievolisce allorché si sia in presenza di rapporti di parentela, a maggior ragione se stretti, che la trasformazione del compossesso in possesso esclusivo, pur non richiedendo l'interversione nel possesso, postula comunque la sussistenza di una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus, da estrinsecare attraverso la comunicazione, anche con modalità informali, agli altri comproprietari della volontà di intendere possedere in via esclusiva, e che, a tal fine, non ha alcuna rilevanza l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune.

Appare allora evidente come la decisione non si sia affatto attenuta a tali principi, essendo stata fondata sostanzialmente sui due criteri della permanenza, per alcuni decenni, dell'attrice in riconvenzione e del coniuge nell'appartamento comune, nel quale questi già viveva col padre, comune dante causa, e dell'astensione degli altri comproprietari, fratelli del coniuge, dall'uso del bene, senza verificare in che modo quest'ultimo avesse manifestato in modo inequivoco di volere possedere in via esclusiva il bene, sì da trasformare il possesso uti condominus in possesso esclusivo.

7. L'accoglimento del secondo e terzo motivo determinano l'assorbimento degli altri, siccome volti ad evidenziare aspetti anche fattuali idonei ad escludere la possibilità di qualificare in termini di possesso esclusivo ad usucapionem le condotte processuali ed extraprocessuali dell'attrice in riconvenzione.

8. In conclusione, dichiarata la fondatezza del secondo e del terzo e l'assorbimento del primo, quarto e quinto, la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d'Appello di Firenze che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2024.

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